L’artrosi dell’anca, o coxartrosi, è la più comune malattia che possa colpire l’anca dell'adulto. E’ una malattia cronico-degenerativa, che si instaura progressivamente e conduce ad una disabilità crescente nell'arco di alcuni anni. Può essere grossolanamente definita una sorta di “usura” dei capi articolari, nella quale lo strato di cartilagine che riveste la testa del femore e la cavità acetabolare si assottiglia progressivamente fino ad esporre l’osso sottostante. Questo reagisce addensandosi e producendo escrescenze periferiche appuntite, gli osteofiti. Nelle fasi più avanzate della malattia la capsula articolare si ispessisce e i muscoli si retraggono fino a determinare le deformità che caratterizzano le coxartrosi di vecchia data: anche semiflesse, rigide, ruotate all’esterno. Il paziente coxartrosico presenta un dolore tipico (coxalgia), localizzato in sede inguinale e talvolta in sede glutea. E’ frequente l’irradiazione del dolore lungo la faccia anteriore della coscia fino al ginocchio. Poiché l'origine del dolore è essenzialmente meccanica, questo è provocato dalla deambulazione e dal movimento articolare in genere, mentre viene alleviato dal riposo. Il dolore indotto dal carico determina una claudicazione di fuga: in altre parole, il paziente tende a caricare poco sull'arto dolente, accorciando la fase di appoggio sul piede corrispondente. Il dolore indotto dal movimento provoca per via riflessa la contrattura della muscolatura circostante, soprattutto dei muscoli extrarotatori. Si osserva dunque una limitazione precoce della rotazione interna (ovvero il paziente non riesce più a ruotare la punta dei piedi “all’indentro”) e, più tardivamente, anche degli altri movimenti, fino al punto in cui semplici gesti come calzare una scarpa diventano impossibili. Negli stadi più avanzati la consunzione del rivestimento cartilagineo dei capi articolari può generare accorciamenti significativi dell'arto interessato, fino ad oltre 1 centimetro. Il trattamento più efficace è chirurgico ed è rappresentato dalla protesi d'anca, che costituisce l'unica reale soluzione nelle forme avanzate, caratterizzate da una riduzione della qualità della vita e dall’uso frequente di analgesici. La terapia farmacologica è essenzialmente palliativa e dovrebbe essere impiegata, in modo possibilmente ciclico e non continuativo, per alleviare i disturbi nel paziente non candidato alla protesizzazione (perché ancora poco sintomatico o inoperabile). La categoria farmacologia fondamentale è rappresentata dagli antiinfiammatori/antidolorifici, mentre alcuni integratori dedicati (preparati a base di glucosamine e composti analoghi) potrebbero avere un effetto benefico nel rallentare la degenerazione del tessuto cartilagineo, ma non vi sono ancora studi adeguati che confermino questa ipotesi. In questa sede, profonda e difficilmente raggiungibile per via topica, la somministrazione sistemica dei farmaci appare essere la più agevole ed efficace. Le terapie infiltrative (in particolare con ac. jaluronico) sono indicate solo in casi molto selezionati e sono di competenza strettamente specialistica. Data la profondità dell’articolazione coxo-femorale, le comuni terapie fisiche (laser, ultrasuoni, elettroforesi…) risultano in genere inefficaci. Maggiori possibilità di successo sono date dalla diatermia,tecarterapia e dall’elettroterapia, soprattutto nei pazienti magri. Nei soggetti obesi il calo ponderale ottiene grandi benefici e può prevedibilmente rallentare l’evoluzione del danno articolare, mentre un moderato esercizio fisico in assenza di carico (nuoto, bicicletta) permette di conservare più a lungo la mobilità e il trofismo muscolare, ritardando la comparsa di rigidità. Ovviamente le attività fisiche in carico, come il jogging, e tutti gli sport di contatto sono da evitare,
poiché potrebbero accelerare la progressione del danno cartilagineo.
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Esempio di Artroprotesi d'anca | |
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